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LA FEMME DE ROSE HILL Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 gennaio 1990
 
di Alain Tanner, con Marie Gaydu, Roger Jendly, Jean-Philippe Ecoffey (Svizzera, 1989)
 
Ma com'è bello, e difficile far cinema.

Immaginate infatti un soggetto per noi (e non solo per noi) più attuale di questa storia di Julie?

Giovane mulatta delle Isole Mauritius che arriva in Svizzera sposa per corrispondenza ; e che, ottenuto matrimonio, permesso di soggiorno e tutti e quanti non tarda ad accorgersi che tra il sole dell'Oceano Indiano e la gelida nebbiolina dei primi contrafforti del Giura c'è ancor più differenza che fra il giovanotto intravisto su una foto, ed il buon contadino vodese che è venuto ad accoglierla all'aeroporto.

Già. Perché il finale non è difficile da intuire: ritrovatasi con il marmocchio frutto della relazione con un giovane bene, ma in compenso senza permesso di soggiorno (visto che, nel frattempo si è divorziata dal Marcel della foto) viene rimandata al mittente, come s'usa, all'alba.

Tanner è il nostro regista più glorioso. Perché è stato tra i primi ad importare la lezione del cinema nuovo, ad esportare in immagini il malessere che si nascondeva sotto il benessere, perché ha firmato uno dei film più belli e più giusti del dopoguerra, CHARLES MORT OU VIF. Perché, guardate pure qui è capace di filmare la statica, seducente geometria dell'immutabilità nostrana: il nitido rigore dei campi arati di fresco, il vento che struscia fra le foglie lustrate dei boschi, l'alternarsi delle stagioni su una natura che riflette cosi bene l'animo di chi ci vive.

Tanner filma a fior di pelle, come riesce a pochi registi svizzeri. Come quando segue la sua negretta imbacuccata nelle gelide folate di bise sui ponti di Losanna; o quando si ritrova finalmente al caldo, fra le braccia del suo bel ragazzotto e le lenzuola pulite della pensione di campagna, pelle nera su pelle bianca...

LA FEMME DE ROSE HILL, l'avrete capito, è un film sulla pelle. Ma non come l'intendevamo dal soggetto: perché Julie è fotografata come una top-model, perché l'autore, ormai dimentico del contadino di cui sopra, la fa spogliare (primo accenno ad una deviazione quasi voyeuristica dell'opera) mentre l'amico si tiene addosso camicia e calzoni, perché da quel momento fino alla fine siamo a gemiti ed occhiaie da ultimo tango a Porrentruy.

Il film, cioè, diventa un altro. Quello su una bella ventenne, che ha comprensibilmente voglia di andare a letto con uno della sua età; ma che, a parte ciò, non si capisce esattamente cosa le passi per la testa. Quello su un ventenne che ha le stesse voglie di lei, più quelle di venirne fuori in un modo o nell'altro, ed in definitiva meno malvagiamente di come si potesse supporre. E quello su un'anziana anarcoide che cerca di arrangiare saggiamente le cose, che assomiglia a Marguerite Duras, ma che a parte ciò sembra soprattutto capitata nel film per ricordare a tutti gli umori sessantottini che avevano reso celebre l'autore.

Ogni sequenza del suo film, Tanner l'ha incorniciata in una dissolvenza al nero. Come se facesse opera di orafo, intento a strutturare, lontano dalle emozioni, un'osservazione rigorosa, razionale ed eterna.

Il film, prendendogli la mano, è tutto il contrario. A lui finisce per lasciare la generosità delle intenzioni: a noi, i problemi di sempre.


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